Ho scritto questo racconto due anni fa, durante un compito in classe. Era una normale giornata di gennaio e la mia prof mi assegnò questa traccia: dovevo immaginare di essere un inviato di guerra di un giornale e dovevo raccontare la mia esperienza. Io non so come ci si sente a vivere in un paese afflitto dalla guerra e perciò ringrazio ogni giorno il Signore per aver avuto il privilegio di nascere in Italia. Posso solamente immaginare cosa si provi e voglio aiutare quelle persone, partendo dal raccontare di loro.
Ecco le prime luci dell’alba che illuminano il buio della notte. L’inizio di un nuovo giorno. I raggi radianti del sole illuminano piano piano il territorio. Se fossi nella mia Firenze quei raggi luminosi risplenderebbero su alcune delle bellezze architettoniche del mondo. Ma qui no. Qui il sole si fa strada tra le macerie di case distrutte dalle bombe. Case dove abitavano famiglie sono state distrutte e quelle povere persone adesso si ritrovano per strada, senza niente, senza sapere dove andare, vittime della guerra tra i potenti…
Il sole sale alto nel cielo come ogni giorno per portare luce in questo inferno, portando con sé una leggera speranza. Speranza nella pace che aiuta i cittadini ad andare avanti. Una speranza che resta vivida nella religione e che si nasconde appena partono le sparatorie.
Mezzogiorno. I soldati girano per la città o per meglio definirla un mare di macerie; sono armati con dei fucili carichi che fanno tremare soltanto a guardarli. Alcuni sono su dei carro armati. Camminano lentamente. Quando passano tutto tace. La gente si ferma e li osserva. Bambini impauriti, con gli occhi spalancati che tengono a fatica le lacrime e le bocche tremolanti che soffocano urli di paura; si nascondono dietro le proprie madri, aggrappandosi stretti alle loro gambe, per il terrore che qualcuno li porti via. Le donne indossano il burqa. Del loro volto si possono osservare soltanto gli occhi che, come finestre sull’anima, mostrano la paura e la rabbia che c’è in loro. I soldati passano tranquilli ma sempre in allerta. Fucili carichi pronti a sparare al primo minimo movimento falso. Quel silenzio terrificante è interrotto solamente dagli scarponi dei soldati che, pesanti come cemento, sbattono sul terreno, cosparso di polvere e ciottoli di edifici spazzati via dalle bombe.
Tre del pomeriggio. La comunità si ritrova a pregare. La moschea è piccola ma è l’unico luogo rimasto per ritrovarsi e pregare. Gli uomini e le donne sono divisi. Inginocchiati su polverosi e sciupati tappeti un tempo molto pregiati, pregano in un rigoroso silenzio controllato dai soldati armati. Si può intuire facilmente quali sono le disperate preghiere di quei fedeli: “Aiutateci, Signore. Riporti la pace in questo luogo devastato dalla guerra. Abbiamo fame. Vogliamo una casa dove dormire. Vi prego, aiutateci…”
BOOM!
Un rumore sordo e lontano che si propaga per tutta la città. Una bomba interrompe il silenzio della preghiera e aziona il caos. Il soldato urla in una lingua che non conosco, ma lo comprendo perfettamente: “Presto, correte!”. La gente esce dalla moschea correndo e urlando e scappa tornando velocemente ai cavò dove trova rifugio e salvezza dai proiettili e dalle bombe.
La battaglia è cominciata. Sparatorie in qua e là. Proiettili che volano ad altissima velocità. Non li vedi passare.
BOOM!
Un’altra bomba scoppia dall’altra parte della città. Intanto qui infuriano i proiettili.
BOOM! BOOM!
Un uomo cade a terra. Un soldato ferito alla spalla geme vicino a me. Mentre la battaglia infuria lo aiuto, nascosti tra le macerie. Il sangue sgorga velocemente. E’ dannatamente caldo. Cerco di bloccarlo con una fascia. Aspettiamo che la battaglia finisca. Trascorrono credo un paio d’ore. Ore d’inferno. Sento nella mia testa il riecheggio delle grida, degli spari, delle bombe…
Usciamo dal nostro nascondiglio. Mi metto il suo braccio intorno al collo e lo tiro su. Camminiamo lungo la strada per portarlo all’infermeria. La via è diventata un cimitero. Soldati a terra morti. C’è chi è stato colpito alla spalla, chi alla gamba, chi dritto al cuore. Qualcuno è stato colpito alla testa. Il caschetto verde non l’ha protetto dalla morte. I loro volti sono pallidi. I loro corpi sono coperti di sangue. Vedo arrivare verso di noi un soldato. La divisa mimetica è lurida di polvere e sangue. Il viso è graffiato. Si avvicina a noi, prende il compagno e se lo carica sulle spalle. Mi ringrazia. I suoi occhi sono lucidi, ancora terrorizzati dalla battaglia e dalla morte di molti compagni. Lucidi di gioia nel vedere l’amico ancora vivo. Si allontana con lui verso il tramonto.
Torno alla tenda. Il sole ormai è quasi scomparso dietro l’orizzonte. Il cielo ha quel colore rosso fuoco. Tra poco si trasformerà nell’oscuro buio della notte. In tempi di guerra nemmeno le stelle, luminose lampadine della notte, bastano a portare un po’ di luce nei cuori delle persone. La paura oscura tutto. Stasera però c’è la luna piena. Argentea e luminosa domina nel cielo, ignara di quello che succede sulla terra.
Il corno suona: le dieci, l’inizio del coprifuoco. Chiunque venga trovato fuori da ora fino all’alba verrà ucciso. Sto per addormentarmi quando…
BOOM!
Un’altra bomba. Impazzano le sirene. Si sentono squadriglie di soldati che corrono. I pianti laceranti dei bambini sono urli di disperazione: “Cosa ho fatto di male per nascere in questo inferno?”.
Finalmente mezzanotte. Tutto tace e il sonno porta con sé il silenzio. La notte diventa ancora più buia e spaventosa. Un pensiero mi assale alla mente. Ma se la finissi qui. Un altro giorno di paura, terrore, morte… Non si può sopravvivere in questo inferno.
Aspettiamo i rinforzi.
Intanto non ci resta che sperare in futuro più radioso.
2 risposte su “Racconto di guerra”
E’ bello vedere come sei sensibile ai problemi di molti popoli in un mondo dove purtroppo regna indifferenza, superficialita e individualismo
Brava!!
Brava brava brava sei giovane ma aggiornata su quello che succede nel mondo e sensibile ai problemi degli altri. Sono sempre più orgogliosa di te